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Per Claudio Fava solo questo modo si può competere nel mercato europeo

Dalle pmi l'unica soluzione
al problema occupazionale

di SERGIO LAMA

"Rimettere in moto il mercato del lavoro attraverso la costituzione di cooperative, imprese artigiane e consorzi che possano cogliere le tante opportunità offerte dalla internazionalizzazione dei mercati". Tutto questo dietro la regia delle fondazioni bancarie e delle associazioni di categoria con compiti di coordinamento e supporto finanziario. È questa una delle soluzioni prospettate da Claudio Fava, amministratore unico della società di consulenza Cfa di Roma, di fronte al dilagare del problema occupazionale.
Domanda. Quale è il punto di partenza per affrontare il problema della disoccupazione?
Risposta. Dalla formazione, non c'è dubbio. Oggi chi esce dalla scuola dell'obbligo non ha la minima possibilità di trovare lavoro.
D. Pensa a una riforma del sistema scolastico che porti a un allungamento della scuola dell'obbligo?
R. Queste sono proposte che si sentono da anni e mi sembrano un po' demagogiche. Nel migliore dei casi spostano il problema in avanti di qualche anno senza risolverlo. La questione è un'altra: come favorire l'ingresso di questi ragazzi nel mondo del lavoro con un costo che non sia scaricato sull'imprenditoria.
D. quali altri soggetti devono intervenire?
R. Se il problema occupazionale riguarda tutta la collettività, non può essere affrontato solo dall'Inps o con il ricorso alla cassa integrazione. Bisogna invece destinare a progetti specifici finanziandoli con una tassa generale.
D. A quali strumenti pensa in particolare?
R. Penso che, provincia per provincia, si dovrebbero organizzare strutture di formazione postscolastica da parte di varie fondazioni bancarie e associazioni di categoria.
D. Che cosa dovrebbero fare?
R. Queste avrebbero il compito di coinvolgere i giovani e coloro che sono usciti anticipatamente dal mondo del lavoro in corsi biennali teorici-pratici da svolgere anche all'estero e che li preparino a diventare piccolo imprenditori nei settori dell'agroindustria, del turismo, dell'artigianato e dei servizi.
D. E dopo il biennio?
R. Il risultato finale dovrà essere la costituzione di una miriade di cooperative, imprese artigiane, società di persone e capitale di consorzi, dai 4 ai 50 occupati, tutte formate da persone che abbiano appreso le principali tecniche di marketing e gestione aziendale. In questo modo sarebbe possibile cogliere tutte le opportunità offerte dalla internazionalizzazione dei mercati nelle nicchie individuate dall'iniziativa privata.
D. In tutto questo, quale ruolo deve assumere il mondo creditizio?
R. Le fondazioni avranno il compito non solo di coordinare il progetto di formazione, ma dovranno offrire anche il supporto finanziario.
D. Tornando alle imprese, pare di capire che lei non abbia fiducia nella grande industria.
R. E' vero. Ritengo che sia molto più semplice creare migliaia di posti di lavoro nelle pmi che non in una grande azienda. Di quelle che alle prime difficoltà scaricano centinaia di disoccupati sulle spalle della collettività.
D. Le parla di internazionalizzazione dei mercati e di mentalità europea. Ma tutto questo si concilia anche con imprese da 50 dipendenti e 100 miliardi di fatturato?
R. Consiliare dimensioni piccole e mentalità europea non è un miraggio. E chi non si è accorto che l'Europa esiste gia anche per i piccoli imprenditori avrà presto dei guai. perchè oggi nessuno può più permettersi di produrre il pane a un costo doppio di un altro panificatore che sta a 500 chilometri di distanza. (riproduzione riservata)

   
  Gennaio 1996