SPECCHIO
ECONOMICO


   
 
 
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Disastri.

La soluzione risiede nella finanza di progetto.

di CLAUDIO F. FAVA

Può sembrare cinico e paradossale dirlo, ma il recente tzunami ha creato meno danni di quanto fosse stato plausibile attendersi, se si considera la scarsa importanza data da alcuni dei Governi dei Paesi colpiti al controllo e alla protezione delle proprie coste ed all’assenza di una politica di “emergenza”. Una catastrofe del genere creata da una apocalittica onda post-sismica avrebbe potuto essere spostata di alcune centinaia di chilometri verso regioni ancora più popolate e gli effetti avrebbero potuto essere ancora più devastanti, con una situazione di vuoto di prevenzione esattamente uguale a quella mostrata in occasione dello tzunami in India, Indonesia, Sri Lanka, Sumatra e Maldive.
Ma non è una buona ragione sentirsi in qualche modo sollevati dalla casualità per non aver subito una ecatombe cento volte più grande.
E gli allarmi? E i soccorsi? Noi paesi industrializzati abbiamo la globalizzazione nel DNA e non riusciamo a prevedere la singolarità delle catastrofi? Come ormai tutti sanno, i segnali di controllo lanciati dagli Osservatori – originati in luoghi ben lontani dalle aree dove andiamo a trascorrere una “grande parentesi di pace” – non hanno trovato interlocutori. Chi dormiva, chi era fuori servizio, chi non era preparato a capire quello che stava per succedere, chi era stato pagato solo per autorizzare indifesi insediamenti lavorativi o di vacanze, spesso solo per farsi eleggere. Perché favorendo l’ingresso di turisti arrivano la valuta, gli affari e lo sviluppo. Ma di chi?
E che cosa pensavano i designer e developper creatori di villaggi paradisiaci? A portare l’olio d’oliva italiano o spagnolo per condire il pesce o stampare le magliette ricordo? Vogliamo parlare di corresponsabilità, abbassamento del livello di guardia per superficialità, mancanza di professionalità? Meglio parlare in positivo, per il futuro, sperando che questo squarcio non gradevole che ho appena fatto intravedere crei i dubbi che merita, nel contesto nel quale certi paradisi a buon mercato si radicano.
Il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan dice che nelle aree colpite occorrono dieci anni per ricreare un nuovo volano economico nel settore agroalimentare, turistico, artigianale, sanitario , ma con infrastrutture, sicurezza e prevenzione . Una frase infelice, superficiale e dannosa più dello tzunami stesso per quelle sciagurate Paesi. Sanità e protezione civile incluse. Il tutto con i soldi della collettività mondiale, che fortunatamente si sta mostrando molto generosa. Evitando proclami a caldo e facendo parlare gli esperti, i circa 100 milioni di abitanti delle aree colpite dal maremoto hanno diritto di essere pronti a ripartire, prima, molto prima di dieci anni e con meno dispersione di risorse. A questo, tanto per cambiare, può servire il potente meccanismo del Project Financing, la Finanza di progetto, adeguatamente promosso e gestito con le regole che sono anche indicate nella nostra Legge Obiettivo, oltre che in tutti i Paesi in cui esso è praticabile.
Sintetizzo i due aspetti peculiari del Project Financing. Un ente deve dare una concessione per un minimo di anni ad un gestore; un consorzio di imprese beneficiario della concessione deve costruire l’opera che, alla fine, andrà all’ente, Stato, Provincia o privato che sia. A questo punto, dividendo le aree economiche in quattro grandi categorie - turismo, infrastrutture viarie e portuali, agricoltura e pesca -, il raggruppamento coordinato degli ex Presidenti degli Stati Uniti George Bush Padre e Bill Clinton potrebbe organizzare tante concessioni da parte di tutti i Paesi coinvolti, con il compito di consentire tutti quei Project Financing che imprese, anche in joint-venture locali ed occidentali, sono in grado di affrontare. Il comparto Sanitario, di formazione scolastica e di Protezione Civile, dovrà essere realizzato con i sistemi aggiudicativi tradizionali, ma da chi lo sa fare e con accordi bilaterali, non da supplier scelti localmente. I tempi previsti: due-tre anni per realizzare le iniziative private, di cinque per quelle pubbliche, cioè rispettivamente il 70 e 50% di tempo in meno di ciò che ha dichiarato il Segretario Generale delle Nazioni Unite. Molti non sanno quanto complicati e costosi siano i meccanismi degli appalti nei Paesi colpiti e affidarsi totalmente ai sistemi tradizionali di appalto gestiti dall’apparato pubblico – Stato, Province, Comuni -, è pericoloso. Meglio avviare le procedure con il meccanismo del Project Financing. Almeno chi costruisce è responsabile non solo dell’opera, ma anche delle varianti volute e dei tempi di consegna.

   
  Febbraio 2005
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