SPECCHIO
ECONOMICO


   
 
 
Foto Articolo
 
Foto Articolo
 

Mezzogiorno

Ecco perché occorre
una Banca del Mediterraneo

di CLAUDIO F. FAVA

L’articolo da me scritto su questo mensile nel numero di Gennaio 2005 ha scatenato un vero e proprio maremoto. Metaforico, s’intende. I meccanismi economici in base ai quali il mondo finanziario internazionale è in grado di creare non solo ricchezza, ma i prodromi di una nuova società civile, hanno impaurito molti rappresentanti della stessa. E giù le telefonate allarmistiche per non creare uno strumento che favorisca l’estremismo, l’eccessiva disponibilità verso l’integralismo, l’abuso di gratuità non richiesta proprio da quei paesi che si affacciano sul Mediterraneo come ponte di uno sviluppo afro-orientale. Ma non è così: la dimostrazione è che proprio il mondo finanziario ha accolto con l’entusiasmo e chiede a gran voce un convegno per chiarire, se ce ne fosse bisogno, quanto sia importante la stabilità per gli investimenti e quindi la conoscenza delle diverse realtà che si affacciano intorno a quello che possiamo definire un vero e proprio Continente. Per questo occorre che io faccia due precisazioni: una sociale, il punto sul Mediterraneo, l’altra economica, sulla filosofia della Banca del Mediterraneo che, prima o poi, finirà per unire capitali arabi, israeliani ed occidentali in un’unica “impresa”. Siamo portati a ritenere il Mediterraneo un grande lago salato da Gibilterra alla Grecia. Anche se di dimensioni modeste, rispetto agli oceani, il Mediterraneo unisce Europa, Africa e Asia omogeneizzando, oggi più che mai, culture, religioni ed economie. Insinuandosi fra Dardanelli e Bosforo, dà vita anche al Mar Nero, tocca una trentina di Stati alcuni dei quali ancora in cerca di un assetto definitivo, come nel caso dei Balcani. Tre continenti, tre blocchi, l’uno di fronte all’altro, alle prese con problemi di sviluppo che non possono ignorarsi fra loro e che solo attraverso una fattiva collaborazione e lo sfruttamento di molteplici sinergie, potranno risalire il gap economico in cui versano nonostante le poderose potenzialità. Il Mediterraneo assume, così, un ruolo centrale visto che da sempre il blocco africano e quello asiatico hanno preferito intrattenere rapporti molto più stretti ed intensi con l’Europa mediterranea piuttosto che con i Paesi situati alle loro spalle, dai quali, sono spesso separati da giganteschi deserti. Non vi è dubbio che la riconferma di Gorge Bush alla Casa Bianca e la concomitante scomparsa di Yasser Arafat, potrebbe far trovare un assetto definitivo e pacifico all’area Medio-Orientale chiudendo un’epoca di guerre pressochè continue e facendo sì che gli sforzi possano essere convogliati nel più auspicabile alveo della cooperazione ai fini dello sviluppo economico. In tale ottica appare di fondamentale importanza il superamento della “querelle” sull’adesione della Turchia all’Unione Europea; un differimento sine die dei negoziati per l’adesione di Ankara significherebbe un definitivo declassamento della politica mediterranea comunitaria; viceversa, l’ingresso della Turchia, oggettivamente più che giustificabile in considerazione degli sforzi che quel governo ha attuato per allinearsi agli standards economici e democratici europei, sancirebbe il definitivo superamento di tutti i pregiudizi che da sempre hanno contrapposto le diverse culture del bacino mediterraneo. E considerando, poi, il Mar Nero come l’estrema sacca del Mediterraneo, non è possibile trascurare la voglia di cambiamento della popolazione Ucraina che, sempre con maggiore forza, reclama un posto nei nuovi assetti internazionali. Il Cardinale Joseph Ratzinger ha definito “Continente culturale” tale potenziale assetto geopolitico ispirato a principi di libertà, democrazia e rispetto della dignità umana e il Governo italiano è stato il primo a credere nella rilevanza strategica della cooperazione fra Stati di un’Europa sempre più allargata ad Est. E’ nel Mediterraneo, dunque, che dovranno concentrarsi le priorità strategiche per la realizzazione di un nuovo ordine mondiale. Pertanto, stabilizzazione dei Balcani, ingresso della Turchia nella Unione Europea, un piano Marshall per la Palestina e l’ingresso non lontano di Israele nell’Unione, costituiranno, le linee guida della politica estera italiana. Tali obiettivi non potranno non essere affiancati da un solido sistema bancario che omogeneizzi e coordini il mastodontico processo di sviluppo economico. In tale ottica il Mezzogiorno d’Italia potrebbe finalmente assumere un ruolo centrale capovolgendo la atavica situazione di sottosviluppo per diventare il “nuovo Nord” trainante di una vasta area di cooperazione ed integrazione. Il Mediterraneo appare, nel complesso europeo moderno, come la regione più ricca di varietà e di particolarismi locali ma, allo stesso tempo, come la più originariamente unita nel clima, nel paesaggio, nelle produzioni, nel lavoro degli uomini. Nessuna parte del globo fu ricca di contatti, di scambi proficui, di movimenti di popoli, di un commercio attivo e costante di beni culturali; nessuna zona terrestre permise che un grande dominio di civiltà le imponesse una persistente unità umana, fatta di vita di relazioni lungo i rifugi costieri, di fondazioni di città dove interi popoli che si spostavano ritrovavano luoghi simili e familiari. Un’ unità che trovava il principale fattore di unificazione nella vita rurale e nel commercio, e che diede al Mediterraneo il privilegio di guidare la storia dell’Occidente. Malgrado tutto ciò, ad un certo punto della sua evoluzione umana, il Mediterraneo si immerse in una specie di letargo, impantanato nell’immobilità delle sue tecniche, perdendo le opportunità della storia e distanziandosi, ogni volta di più, dai rapidi progressi imposti dalla civiltà industriale moderna. Così il progresso tecnico, partito dalla rivoluzione industriale e che fece la fortuna solo di alcuni Paesi mediterranei, determinò una spaccatura in questa ampia area disperdendo e disgregando un’ unità antica e storicamente provata. Ed è proprio questo declino a porsi al centro del dibattito economico, partito già dagli anni ‘60, imperniato sulla ricerca di strumenti e strategie atte a ricompattare l’unità del Mediterraneo. Il motore di questo processo di riunificazione è stato rappresentato dalla Comunità europea resasi protagonista di una serie di interventi di partenariato con i paesi terzi dell’area mediterranea. L’attuazione di una politica globale mediterranea ha visto il suo momento topico nella conferenza di Barcellona del 1995 il cui disegno ambizioso, volto a valorizzare l’importanza strategica dell’intera area, fu, per la prima volta nella storia, sancito in un documento finale, la cosiddetta “Dichiarazione sul Partenariato Euromediterraneo”, firmato dai 15 paesi membri dell’ Unione e da 12 Paesi del Sud e dell’ Est del Mediterraneo: Algeria, Tunisia, Marocco, Egitto, Israele, Giordania, Autorità Nazionale Palestinese, Libano, Siria, Turchia , Cipro e Malta che già oggi fanno parte a pieno titolo dell’ UE. Il progetto si basava su due linee strategiche fondamentali: da un lato il mantenimento della pace in zone caratterizzate da forte instabilità sociale, dall’altro l’attivazione di un processo di riforme che avrebbero dovuto favorire la crescita degli investimenti e del commercio contemperandola con la valorizzazione dell’ambiente e delle risorse economiche. Fu varato, pertanto, il programma comunitario MEDA, destinato a finanziare sia i programmi bilaterali che quelli di cooperazione regionale e a creare le fondamenta di una futura area di libero scambio. Anche se siamo ancora lontani dall’obiettivo di stabilità e di pace, stante il perdurare del conflitto tra Israele e Palestina, la via del partenariato sta dando decisamente i propri frutti come dimostrano, tra l’altro, i dati evidenziati nel “Rapporto Business Atlas 2004” di Assocamerestero. Da tale rapporto si evince una crescita degli investimenti soprattutto in Tunisia, che nel solo 2004 ha registrato 298 progetti di investimento, ed in Romania grazie anche al basso costo dei fattori produttivi. In quest’ ottica spicca la Francia che, secondo i dati forniti dall’ Apie - Agenzia tunisina per la promozione degli investimenti esteri -, attraverso 90 progetti realizzati nell’anno appena trascorso, ha determinato la creazione di 2634 posti di lavoro con una movimentazione di ricchezza di oltre 46 milioni di Euro. Siamo, tuttavia, solo all’inizio di un processo di sviluppo e di integrazione che l’ampiezza del mercato potenziale di 800 milioni di abitanti entro il 2010, così come supposto dagli accordi di Barcellona, può sicuramente garantire. L’idea di costituire un’istituzione privatistica finanziaria europea, la cosiddetta Banca del Mediterraneo, è ormai divenuta patrimonio comune di tutte le forze politiche ed a tale proposito l’Italia sembra proprio essere la sede naturale di tale istituzione, considerata la sua particolare posizione geografica quale baricentro del Mediterraneo. La Banca del Mediterraneo dovrà operare in stretta collaborazione con le principali istituzioni finanziarie governative e internazionali, ed in particolare è ipotizzabile uno stretto rapporto con il FEMIP - Fondo Europeo Mediterraneo di Investimento e Partenariato – creato, nel 2002, nell’ambito Bei, Banca Europea per gli Investimenti, che attualmente gestisce il credito per il capitale di rischio dei Paesi dell’area mediterranea. A tale proposito, proprio dal FEMIP sono stati accordati, nel dicembre scorso, prestiti per un importo di 340 milioni di Euro destinati allo sviluppo dei trasporti marittimi nel bacino mediterraneo. Tuttavia lo strumento del FEMIP risulta inadeguato e insufficiente per le politiche di penetrazione e sviluppo della piccola e media impresa; la Banca del Mediterraneo è stata concepita proprio per agevolare il tessuto di piccole e medie imprese in grado di assicurare una diffusione capillare dell’imprenditorialità e conseguenzialmente dell’occupazione, in modo da limitare, concomitantemente, anche i forti flussi di immigrazione clandestina. Anche per tale motivo, quindi, la Banca del Mediterraneo dovrà operare in armonia con la Banca Mondiale, con la Bei e con gli altri fondi specifici destinati all’area Med, con finanza propria -equity e fondi provenienti da obbligazioni-, e con il supporto di istituti internazionali di matrice araba o israeliana. I suoi specifici interventi, destinati alla realizzazione di project financing e a joint venture, la vedranno nel ruolo sia di Banca advisor e quindi di un “tecnico” specializzato nella valutazione della fattibilità e delle modalità di attuazione dei progetti e dei relativi rischi; sia nella realizzazione dei piani finanziari allo scopo di attirare risorse finanziarie; sia nel ruolo di Banca “Arranger” inteso ad aggregare capitali internazionali ed a sindacare gli interventi dei sistemi bancari locali. L’istituzione si occuperà solo di iniziative economiche il cui rendimento sia ben identificabile e garantisca l’ottenimento di adeguati dividendi sul capitale dei soci, che dovranno correttamente interpretare questo progetto con redditività a medio e lungo termine.

   
  Aprile 2005
Pag. 66-67