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CAMPAGNA ELETTORALE POCO CREDIBILE

Forse vale la pena di mettere in fila le oche. E curarle una ad una per evitare che non passino l’inverno, nell’aia.
Questa campagna elettorale è poco credibile, dallo slogan “una casa è diritto di tutti” e “no alle centrali nucleari”, spicca per banalità. E non sono banalità dette da persone poco colte, perfide, ma da persone intelligenti ed agiate, che di mestiere fanno la politica, ne prendono i piaceri ed i vantaggi ed alla quale dedicano tanto tempo. Tempo per il potere? Tempo per costruire il dialogo? Ma se non ci riescono loro in Parlamento, come possono pensare di creare un consenso con i simpatizzanti dei loro avversari con banalità fuori dalla realtà? Allora aiutiamoci da soli, per capire.
E vediamo quali possono essere i problemi, perché una buona analisi rappresenta anche il 51% della loro soluzione.
Si è vero, il Paese è in crisi. Dopo l’11 Settembre non possiamo fare finta di niente: il consumo mondiale dei prodotti, ovvero la domanda che pilota l’offerta dei prodotti è cambiata. L’insicurezza si è incuneata nell’animo di tutti, consumatori dei paesi ricchi e poveri ed investitori, i quali hanno mutato le priorità ed il livello del rischio che sono pronti a correre.
E’ vero che l’euro ha creato un deterrente alle esportazioni, con riflessi sull’occupazione ma è anche stravero che ha portato tanti e tali vantaggi in altre aree, sicurezza, allargamento del mercato, stabilità dei cambi, che non se ne possono discutere più di tanto le positività.
In Italia, non ci dimentichiamo l’unico paese europeo del G8 senza risorse naturali, energia e gas, salvo limitate eccezioni, vi sono circa tre milioni di immigrati e tre milioni di disoccupati.
Meno male! E’ il prezzo dello stare seduti al tavolo del progresso e della democrazia, senza dimenticare che una sana autocritica fa bene alla vista: i nostri figli disoccupati, per ora, farebbero tutti i lavori espletati dagli ex-ospiti africani, filippini, sud-americani oggi in Italia? Non credo.
La globalizzazione non l’ha voluta nessuno, ma è esplosa. In Italia da alcuni è vista come un problema, mentre è una ciambella di salvataggio. Ma attaccarvisi ha un costo: sociale, culturale, familiare prima ancora che economico.
Non vi sono alternative: per l’Italia senza energia e con un costo del lavoro quintuplo rispetto alle tigri Cina, India e Brasile, occorre vendere ciò in cui è specializzata, producendo a costi inferiori sul posto, per acquisire quote di mercato sul posto: dove sul posto si intende il mercato che apprezza i prodotti italiani sia nel design che nella qualità: ma non nel prezzo.
E’ un cambio culturale che va assistito e spronato dal triangolo Università-Industria-Ricerca.
Intelligenza, Made in Italy, creatività, organizzazione, esperienza, coraggio, capacità, sono tutte qualità che hanno avuto gli italiani in passato e che possono avere, anzi debbono, gli imprenditori italiani in futuro.
L’obiettivo del nostro Paese coincide con quello che ogni padre vorrebbe per i propri figli: nell’era della globalizzazione trovare lo spazio più profittevole per una collocazione professionale di successo.
Non c’è nessuna possibilità nel volersi “incaponire” nel produrre per forza in un certo posto, in una certa regione italiana, se ciò avviene a costi più elevati che nel resto del mondo!
L’assurdo è che, mentre da un lato chi si lamenta è anche la famiglia composta da lavoratori a reddito fisso che producono a volte beni di consumo o strumentali a prezzi fuori mercato, la stessa, poi, compra prodotti cinesi perché costano meno.
Ed i nostri a chi li diamo?
E’ come l’energia: “io vorrei l’energia dannosa prodotta nel tuo Comune”, anzi la pretendo.
Beh! Visto che c’è, facciamo il federalismo energetico e che ogni Regione produca l’energia di cui ha bisogno nel proprio territorio! Fatto salvo naturalmente il solo nucleare che ha bisogno di una condivisione non solo economica ma anche popolare. Senza ipocrisia.
Come si sarà potuto notare, spero, pur essendo problematiche con riflessi sul nostro Paese, quindi sul nostro sistema di vita, sulla categoria dei pensionati, le cause che governano i nostri disagi non sono a destra o a sinistra, ma sopra.
Litigare pertanto per che “dice meglio le bugie”, è inutile.
Ci troveremmo ad essere esauriti per aver fatto vincere la coalizione un po’ meno ipocrita, magari solo per pochi punti percentuali.
Non è questo di cui abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di riforme importanti nello sviluppo e quindi di “piani operativi dettagliati”, non di programmi. E’ sbagliato dire programmi perché i nostri futuri governanti, potrebbero non saper coniugare un programma in una serie di piani operativi con costi, ricavi, vantaggi, risorse e risultati da raggiungere.
Ed allora vediamo cosa sarebbe concretamente possibile per creare una situazione di sviluppo, volano del progresso sociale, con decisioni semplici perché necessarie ma difficili perché coraggiose che, spiegate con chiarezza, possano essere comprese degli elettori, soprattutto quelli indecisi che non sapevano per chi schierarsi nelle ultime politiche:
regolamentare una politica energetica che trasferisca all’estero le produzioni con il maggiore assorbimento energetico, mentre agevola accordi di programma nazionali per arrivare a produrre almeno il 20% di energia rinnovabile del fabbisogno nazionale;
creare tanti protocolli di ricerca con Università ed Aziende per la Tecnologia e quindi lo sviluppo del Made in Italy e defiscalizzare le aziende che investono in ricerca;
agevolare lo sviluppo delle PMI nel turismo, nell’agricoltura, nell’energia e nei servizi, con strumenti legati al riassorbimento dei lavoratori in esubero provenienti dai settori non più competitivi, aumentando pesantemente le sanzioni sul lavoro nero per i beneficiari di contributi pubblici;
aumentare le imposte sulle rendite immobiliari, i capital-gain e le rendite finanziarie e defiscalizzare gli investimenti in Pensioni integrative;
aumentare di tre anni l’età pensionabile per tutti e favorire i mutui di edilizia agevolata con pagamento a 50 anni, con passaggio programmato dell’immobile agli eredi che si accollano la rata;
incentivare l’imprenditore italiano all’estero che utilizzi impianti italiani nella propria attività ed equiparare il trattamento fiscale per profitti realizzati da aziende italiane fuori dal Paese e che rientrino in Italia, a quello in vigore in altri Paesi europei;
favorire il rientro in Italia degli ex-emigranti ad esempio argentini, dei loro figli e delle loro famiglie che hanno, quantomeno, gli stessi diritti degli attuali immigrati non italiani di origine ;
equiparare il concetto di produttività, licenziamento, mobilità, CIG ed incentivi all’uscita per tutti i lavoratori sia delle piccole che delle grandi aziende, pubbliche o private che siano.
Tutto ciò che dovesse mancare per l’equilibrio dei conti pubblici nel rispetto dei parametri di Maastricht dovrà essere recuperato da un piano di dismissioni del patrimonio pubblico, privatizzazioni rapide ed una minore spesa pubblica, quindi dovrà essere applicata una maggiore e più mercantile politica di finanza di progetto.
Ormai, il cambio degli equilibri tra produzione interna ed importazioni ed il rapporto di lavoro tra piccole e grandi aziende, necessita un rapido adeguamento che non si può definire con concetti demagogici, ma solo con ricchezza prodotta e conseguente accumulo di risorse per il progresso sociale: chi sarà pronto a fare per primo i sacrifici necessari, avrà vinto una battaglia. Battaglia comunque che darà i suoi frutti non prima del 2008: ci vuole chiarezza.

 

 

   
  Febbraio 2006
Pagg. 1 e 3