Italia Oggi


   
 
 
 

ECONOMIA E POLITICA

Analisi

L'industria della difesa non può permettersi di segnare il passo

DI CLAUDIO F. FAVA*

Si sta sviluppando un dibattito sempre più allargato sulla necessità o meno di sviluppare l'industria militare e quindi la capacità bellica, offensiva o deterrente, in un momento in cui il parlamento viene sollecitato a deliberare su interventi di peace keeping, in ambito Nato, Onu ed europeo.

Vale la pena di ricordare che il futuro del nostro paese dipende da quello che appunto i governi riescono a garantire, in termini di efficienza reattiva, alle future generazioni e mai come in questo momento di dibattito politico internazionale, con il pericolo di una guerra da un lato e la minaccia del terrorismo dall'altro, può essere opportuno chiarire la necessità di non farsi condizionare da analisi superficiali.

Infatti, un alleggerimento del peso dell'industria della difesa verrebbe pagato dalle nostre future generazioni, senza possibilità di recupero perché un sistema efficiente, un «pakage di difesa», anche se in chiave di forza di pace, ma con teatri internazionali da gestire, costa dieci anni di sviluppo o addirittura l'esclusione dell'appartenenza al G8.

In tempi relativamente brevi, l'attuale assetto politico comunitario è destinato a evolversi in una nuova forma di «confederazione di stati» che, oltre a una economia comune, certamente dovrà disporre di proprie forze armate, adeguate per una difesa europea.

Queste forze saranno fondamentalmente chiamate a operare in missioni di mantenimento della pace e della sicurezza contro il terrorismo, nel territorio europeo e in altre aree, se richiesto da esigenze di dife­sa avanzata, verosimilmente a seguito di minacce e/o aggressioni perpetrate o riconducibili a gruppi o paesi legati al terrorismo internazionale organizzato.

L'Italia è una delle nazioni eu­ropee che purtroppo da tempo mantiene il discutibile primato (1,02% del pil) di devolvere percentualmente meno risorse delle altre per le spese militari. Ciononostante l'industria nazionale per la difesa continua a rivestire un ruolo fortemente attivo, specialmente nell'alta tecnologia elettronica dei principali sistemi d'arma.

Finmeccanica (42 mila dipendenti, fatturato 6.800 milioni di euro), rappresenta la maggiore realtà industriale governativa per la difesa. In questo campo è saldamente presente a livello internazionale in vari programmi nell'ambito dell'aerospazio, della difesa di superficie, degli elicotteri, delle telecomunicazioni e della information technology.

Molte società di Finmeccanica hanno raggiunto notevoli risultati in diversi programmi militari europei, come per esempio la Galileo avionica che fornisce l'intero sistema d'armamento dell'Efa, o 1'Agusta, maggiore artefice dello sviluppo e produzione dell'elicottero NH-90.

Tuttavia, in funzione del probabile nuovo requisito militare europeo e della suddetta verosimile minaccia, l'industria nazionale per la difesa in tempi brevi dovrà procedere a un significativo riassetto generale atto a sostenere un nuovo tipo di produzione, fondamentalmente basato su sistemi modulari integrati, che dovrà assicurare la fornitura del sistema d'arma finale e garantire una corretta partecipazione industriale italiana in questo particolare segmento di mercato strategico.

Certamente in ambito comunitario contro l'Italia non mancano importanti competitori quali: l'inglese Bae, la francese Thales, la spagnola Casa, o la tedesca Dasa, con consorzi già pronti a operare quali per esempio quello dell'Eads; a questi certamente si aggiungono i maggiori colossi del settore d'Oltreoceano.

Entro cinque anni, i teatri di pace con presenza militare italiana potranno essere oltre 26, a distanza di migliaia di chilometri, cosa che condiziona senz'altro la collaborazione con l'industria elettronica e di armamento italiana.

Un fatto certo è che l'industria nazionale per la difesa non può permettersi di segnare il passo, ma deve subito profondere ogni possibile sforzo per razionalizzare le proprie risorse, avviare nuovi accordi internazionali e allacciare corrette alleanze. Questo le permetterà di fare crescere la propria competitività nella produzione dei sistemi modulari integrati nelle aree tecnologiche in cui già detiene un riconosciuto know-how. Solo questo tipo di aggiornamento le consentirà di superare le proprie obsolescenze, accedere con successo al futuro segmento di mercato di propria competenza e puntare ai necessari nuovi svi­luppi tecnici ed economici.

Per evitare che la Finmeccanica, la quarta azienda aerospaziale europea, porti l'Italia verso un ruolo marginale nel contesto mondiale, occorre che ceda attività non strategiche al mercato e concentri le proprie risorse per sviluppare accordi nell'area militare e aerospaziale sia con l'Europa che con gli Usa, lasciando, è vero, la decisione di questa divisione alla politica, ma a condizione dell'efficienza dei programmi, condizione unica per essere credibili industrialmente.

Quindi ben venga il riacquisto di Fiatavio, con tutto quello che significa in termini strategici nella motoristica aeronautica di costruzione e di revisione che comprende anche una grande unità al Sud (Pomiglia­no d'Arco), ma attenzione a dare l'impressione al mercato degli azionisti che la guida strategica del «colosso» segua la logica dell'azienda di stato.

Crescere con le altre industrie europee diventa quindi una condizione indispensabile per poter partecipare. Per competere occorre soddisfare le nuove esigenze che formeranno i prossimi requisiti militari in Europa, quindi migliorare la tecnologia in chiave di prevenzione antiterroristica oltre che come deterrente per eventuali intenzioni aggressive da parte di chiunque.

Naturalmente equilibrando le joint venture per non perdere l'indispensabile alleanza industriale aerospaziale americana. (riproduzione riservata)

*docente di project financing

   
  Mercoledì 19 Febbraio 2003
Pag. 6